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Cavalleria Russa Considerazioni – Terza Parte

QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL CAVALLO E IL SUO RUOLO NELLA CAVALLERIA RUSSA

parte terza


Le note fra parentesi rimandano all’opera che tratta la questione meglio di altre, per la lista delle opere vedi pagina [5]

© 2007 di Aldo C. Marturano


Equus caballus è collegato con la morte, con gli scenari da fine del mondo e, col Cristianesimo, all’Apocalisse e le testimonianze nelle Cronache che gli attribuiscono un ruolo malefico sono davvero molte (33). Ad esempio, una di esse narra di un avvenimento del 1092 in cui una pestilenza o qualche altra malattia simile aveva procurato tanti morti a Polozk e nei villaggi vicini. Nelle Cronache leggiamo: “Era stata insomma un’armata intera di demoni che aveva scorrazzato per la città a cavallo, ma invisibile ad occhio umano…” In una parola solo il diavolo cavalca e giusto per portare la morte ed ovviamente, quando nel 1223 apparvero i Tatari, fu l’ultimo sigillo che confermò le ataviche paure russe attribuite al cavallo, sebbene molti di questi guerrieri montassero dei tarpàn! Un altro esempio, d’altronde ambiguo, è il racconto delle Cronache di come, Svjatoslav, figlio di Olga e di Igor, nel 965 sbaraglia l’Impero Cazaro che dominava Kiev da anni con la una formidabile cavalleria. Questo principe variago-slavo addirittura viene detto guerriero veloce e quatto (quanto un leopardo, dice la Cronaca)! Dorme poco e con la testa poggiata alla “sella”! Se così fosse, come fece a battere i Cazari soltanto con i suoi guerrieri russi… a piedi? In realtà l’accenno al leopardo nella Cronaca e alla sella si riferisce, secondo L. Prozorov (61), ad un modo di usare i cavalli tutto “russo” quando si trasferivano i fantaccini pronti ed armati sul luogo dello scontro! Secondo il nostro autore infatti, a caccia gli antichi russi portavano con loro degli animali ammaestrati, come appunto il leopardo, legati in groppa ad un cavallo per poi sguinzagliarli al momento giusto dietro la preda e quella volta Svjatoslav aveva agito nello stesso modo, come se andasse a caccia. Una parte dei fantaccini furono dunque trasferiti via fiume sulle barche e un’altra (piccola) parte sui cavalli lungo le rive. Sul campo poi costoro smontano e, insieme agli altri ormai approdati, per il numero e per la buona tattica a piedi riescono a battere la cavalleria cazara. Evidentemente i cavalli a disposizione dei russi non erano molti né forse erano Equus caballus! Per fortuna (russa) la cavalleria cazara era costituita da mercenari e, non appena previde l’esito della battaglia a favore dei russi, abbandonò il campo! L’ambiguità però è in un’altra scena con lo stesso principe che stavolta è descritta, non dalle Cronache che coccolano troppo il nostro personaggio, ma dal segretario imperiale Leone Diacono. Svjatoslav battuto dalle truppe romane deve trattare con l’Imperatore Giovanni Zimisce, ma, mentre l’Imperatore è a cavallo, il russo è seduto in una barca! Leone Diacono addirittura nel seguito del suo scritto dice che i russi non sanno andare a cavallo e che non avranno mai una cavalleria! E siamo nel 971 d.C. qualche anno dopo l’impresa contro i Cazari! In altre parole presso i russi, quando il cavallo c’è, un suo uso militare non è chiaramente confermato né si può esser sicuri che si parli di Equus caballus e non di tarpàn!

Eppure in questi anni Kiev ha già avuto tantissimi contatti con la steppa dove i nomadi allevano cavalli addestrati per la guerra e ne vendono a mandrie proprio ai popoli tutt’intorno. E’ chiaro perciò che, finché le guerre e gli scontri avvengono nel nord dove le pianure libere da foresta non ci sono, di cavalli non ce ne sarà bisogno, ma quando le campagne militari si sposteranno nella steppa ecco che occorrerà averne. Non è ancora questa la situazione a Kiev… D’altronde anche in Occidente il cavallo era usato piuttosto come veicolo al trotto che come animale da guerra e lo pensiamo al galoppo soltanto lungo le strade militari romane per il servizio militare di posta! Nelle Terre Russe dove le strade lastricate non esistono i movimenti avvengono via correnti d’acqua in prevalenza e, benché nelle Cronache si menzionino mandrie di 3000 cavalle e 1000 stalloni di proprietà del già detto Oleg e di Igor, marito di santa Olga, non abbiamo notizia certa che nei castelli russi ci fossero stalle per cavalli… Molto probabilmente quei numeri sono un’esagerazione dei cronisti che vogliono evidenziare la ricchezza e la potenza degli antichi personaggi oppure si riferiscono a (ex) mandrie di stalloni sacri da sacrificare agli dèi pagani! Anzi, diremo di più. Osservando la pianta del castello di Ljubec’ costruito da Vladimiro Monomaco (sec. XII), pro-pronipote del nostro Svjatoslav, sulla riva sinistra del Dnepr proprio di fronte a Kiev la misura e il numero delle stalle individuate da B. A. Rybakov (46) di sicuro non sono in grado di alloggiare un numero di bestie, come quello dato sopra. E’ bene aggiungere che l’alto prezzo d’acquisto e il mantenimento della bestia restano degli elementi distintivi per chiunque voglia possederne! Avere un cavallo denuncia l’alto status sociale del possessore, mentre la sua funzione come animale da guerra è considerata un uso “improprio” degno dei nomadi selvaggi, al contrario che in Occidente. Giusto per tutti questi motivi nella Pravda Rus’ka il cavallo e lo stalliere, sono dei soggetti abbastanza importanti sui quali il testo legifera e fissa multe salate per chi fa loro danno. Anche le testimonianze affidabilissime di autori arabi del X sec. d.C. ci informano che il cavallo per il “nobile russo” era un animale da sacrificio! Era interrato o bruciato col suo padrone morto (e gli scavi archeologici lo confermano!).
Il tarpàn al contrario è considerato un animale positivo. Lo vediamo intagliato sull’apice della trave portante del tetto a far da protezione alla casa contadina, nei motivi di ricamo e nelle impugnature degli arnesi con significato apotropaico. Tuttavia, siccome è usato dai mercanti per trascinare le barche sugli spartiacque o per aiutare il contadino nel lavoro dei campi, non può essere un animale da principe o da nobile, seppure sia molto probabile che fosse usato come animale, diciamo così, di rappresentanza da parte della nobiltà locale, magari con qualche esemplare più grosso di altri o con qualche incrocio…
Lasciamo allora qui il problema di distinguere le due specie così come l’abbiamo sceverato finora e passiamo a qualche altra considerazione. La cavalcatura di solito permetteva a chi la montava di muoversi in battaglia torreggiando fra i propri uomini in modo da esser subito visto da lontano mentre mutava di posizione! Le testimonianze occidentali sul Cavaliere sono pure in questo senso (75) dove il cavallo serviva per portarsi più vicino possibile all’avversario, ma poi si smontava e si combatteva a piedi. E tale uso durerà per molti anni, prima che si affermi una vera cavalleria da lanciare in campo di battaglia. Tale uso è ancor più logico in un Nord dove, a causa delle condizioni geografico-climatiche, è difficile pensare a dei cavalleggeri che si scontrano e si caricano in caroselli spettacolari, data la mancanza di ampi spazi aperti con suolo abbastanza duro… salvo che nelle steppe ucraine! A primavera non appena si sciolgono le nevi il suolo diventa talmente melmoso che non ci si può muovere neppure a piedi per qualche mese: E’ la terribile rasputiza! A causa di ciò le campagne militari, per di più, si conducevano d’inverno quando il ghiaccio sulle paludi e sui corsi d’acqua creava delle aree dove gli uomini si potevano almeno schierare, ma, lo ripetiamo per la cavalleria, questo è un terreno difficile e infido su cui muoversi… E lo impararono a proprie spese i nomadi Peceneghi stessi a cavallo in uno scontro con il figlio di san Vladimiro, Jaroslav il Saggio, nell’attraversare un lago ghiacciato nelle vicinanze di Kiev oppure nel 1242 i Cavalieri Livonici quando, nella più famosa Battaglia del Ghiaccio contro Alessandro Nevskii, sprofondarono nelle acque del lago di Pskov avendo rotto la crosta gelata col peso eccessivo delle loro cavalcature!
Avete pensato per un istante al mercante di cavalli di quei tempi? E non lo immaginate meravigliarsi di non riuscire a venderne ai russi in gran numero, come invece gli riusciva con i greci di Costantinopoli persino attraverso i russi stessi? Eppure l’Imperatore Costantino VII (71) informa che i Rus’ ne comprano dai nomadi Peceneghi… Per farne che cosa poi, se le strade qui non ci sono, le radure sono rare e occupate da campi coltivati e villaggi e le uniche vie di comunicazione fra un punto e l’altro sono gli innumerevoli fiumi laghi e paludi? Eppure Kiev confinava coi più grandi allevatori europei di Equus Caballus ossia gli Ungheresi o Magiari. Questa gente proprio a partire dal X sec. cominciò a esportare razze di cavalli di pregio in tutta l’Europa del nord e dell’ovest (e lo fa ancora ai giorni nostri). Originaria dell’Alto Volga, era emigrata nella valle del Danubio seguendo i Bulgari. Si era fermata abbastanza a lungo (ca. IX sec.) sotto Kiev per avere dei contatti da partners commerciali con l’élite variago-slava prima di stabilirsi definitivamente nella vicina Pannonia al di là dei Carpazi e continuare ad allevare i cavalli da sella…